Con Enrico IV di Luigi Pirandello il regista Alberto Oliva prosegue un percorso di esplorazione dei grandi autori teatrali. Dopo il Conte di Rocca Marina nel Ventaglio di Goldoni e Shylock nel Mercante di Venezia di Shakespeare, interpretati da Mino Manni, sceglie di raccontare la parabola esistenziale di un altro grande emarginato, un reietto della società, che si rinchiude in un volontario esilio di pazzia da cui uscirà allo scoperto urlando la sua rassegnazione: “mi chiamavano pazzo anche prima”.
Il protagonista del testo preferisce ricercare proustianamente il tempo passato, volgersi all’indietro per provare a vivere in un’epoca il cui destino è già scritto, in cui può isolarsi e perdersi, ma anche osservare con malizia la stupida vanità dei propri contemporanei che lo circondano, ridicolmente travestiti da buffoni. Non agisce, guarda gli altri vivere e ride della loro inadeguatezza.
Colpito da un trauma fisico da cui si è risvegliato, Enrico IV si accorge di essere solo e abbandonato, e decide di intraprendere un viaggio mistico alla ricerca di se stesso. La conoscenza attraverso la sofferenza sublima questo piccolo borghese del Novecento fino alle altezze di un personaggio da tragedia greca, ma è tutto un inganno, una finzione costruita ad arte, un’illusione.